Il medico in carcere

Sono Sergio Babudieri, Professore Associato di Malattie Infettive dell’Università degli Studi di Sassari e Presidente della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria, nel cui ambito sono iscritti molti degli operatori sanitari del settore Penitenziario.

La medicina penitenziaria non è una disciplina a sé stante, ma raccoglie il sapere di tutte le professionalità che operano all'interno degli Istituti Penitenziari italiani, e che appunto hanno maturato un’esperienza in questo ambito molto particolare. La prima peculiarità della medicina penitenziaria è data dalla presenza 24 ore su 24 di un magistrato, responsabile di tutte le persone che sono detenute negli istituti penitenziari italiani, una figura quindi che, avendo questa responsabilità, vuole essere a conoscenza delle condizioni di salute di tutti i detenuti. Di conseguenza, vengono effettuati controlli anche su soggetti sani, al fine di poter certificare il loro stato di salute. All’interno dell’ambiente penitenziario, lo stato di salute degli individui è maggiormente esposto alla presenza di patologie, e ciò è testimoniato da innumerevoli pubblicazioni nella letteratura internazionale di tutti gli Stati, sia del Primo che del Terzo Mondo. Concentra in sé patologie di tipo innanzitutto sociale, di carattere effettivo o psichiatrico, oltre che metaboliche o cardiovascolare. I pazienti detenuti, nel loro futuro, verranno poi rilasciati al termine della loro pena. Di conseguenza il carcerato di oggi sarà il cittadino libero di domani, per cui, nel caso di malattie infettive, potrà configurarsi come portatore sano nella popolazione generale, in cui la percentuale di patologie risulta sicuramente più diluita. È per questo motivo quindi che parliamo di patologia sociale, dando luogo dunque a un fenomeno di marginalità. 

All’interno del contesto detentivo si concentrano persone di basso livello socio-culturale come stranieri comunitari ed extracomunitari, persone senza fissa dimora, tossicodipendenti, alcolizzati, analfabeti, persone con patologie mentali maggiori o minori ma non trattate.

Si tratta dunque di pazienti difficili da gestire, classificati dagli anglosassoni “in difficult to treat”, con problemi clinici importanti come il diabete, infezioni, nefropatie, cirrosi, e altro. 

Molte persone anziane sono affette da obesità e tante altre da depressione, senza mai escludere tutti i problemi comportamentali con grandi disturbi legati alla conflittualità con tutto ciò che li circonda, dall’ambiente, agli altri detenuti o al personale di polizia penitenziaria, manifestando con evidenti rifiuti il loro disagio. Il detenuto patologico, spesso, tende a rifiutare anche la propria malattia negandola, il più delle volte per una questione di ignoranza, opponendosi a controlli clinici e alle terapie, temendo in molti casi una violazione della loro privacy, come effettivamente accade negli istituti penitenziari, o per non far venire a conoscenza della propria debolezza i componenti del “branco” a cui appartengono. Ciò porta il detenuto ad assunzioni non corrette di farmaci, simulazioni di altre malattie, o a fenomeni di autolesionismo spesso anche molto gravi, mettendo alla prova il medico che si trova quindi a dover affinare la propria sensibilità per poter smascherare al meglio le patologie vere da quelle simulate.

Altro elemento che pregiudica la buona pratica clinica in ambito penitenziario può essere anche l’aspetto strutturale. Purtroppo molte delle strutture carcerarie risultano vetuste e fatiscenti, dunque inadeguate agli standard attuali, aggiungendosi all’acuirsi del fenomeno del sovraffollamento, tema che ha fatto molto scalpore tra i media in Italia e fortunatamente ora in netta diminuzione. Conseguenza di questa criticità è stato lo spostamento di molti detenuti da un carcere a un altro, dovuto anche a processi per valutazioni giuridiche o punizioni. 

Questo stato si riflette sull’organizzazione sanitaria che è attualmente gestita dalle Aziende Sanitarie Locali su cui grava ogni Istituto Penitenziario, che spesso non riesce a comprendere le necessità più fini di questo ambito. Si tratta quindi di esigenze proprie dell’ambito sanitario che devono essere rapportate alla gestione della giustizia da parte della polizia penitenziaria.

Torniamo anche ai fattori ostativi di tipo personale, quindi ai comportamenti conflittuali, ai comportamenti autolesionisti e la cronaca assunzione di farmaci come ad esempio il metadone per le persone tossicodipendenti. Nel 1984 il direttore del servizio sanitario Penitenziario britannico, agli albori dell'epidemia dell’AIDS, infezione da HIV, disse che il detenuto deve essere sottoposto soltanto alla pena privativa della libertà, e non della seppur minima assistenza medica. Questo concetto è stato ripreso nel 1999 in Italia dal Decreto Legislativo 230 che ha appunto regolamentato come i detenuti e gli internati abbiamo diritto al pari di tutti i cittadini dello stato di libertà all'erogazione delle prestazioni di prevenzione diagnosi, cura, riabilitazione, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuale del piano sanitario nazionale. In parole povere, il cittadino detenuto ha gli stessi diritti dal punto di vista dell'assistenza sanitaria del cittadino libero. 

Del Sistema Penitenziario Italiano, il 31 marzo del 2015, erano aperti 199 istituti con una capienza dichiarata dal Ministro della Giustizia di 49.494 posti letto e con una presenza di 54.122 persone a quella data. il sovraffollamento era quindi di più 4.628 detenuti rispetto alla capienza dichiarata, + 8:06%. Un anno fa eravamo intorno alla 35 - 40% quindi, nel corso dell'ultimo anno, il sistema previdenziale italiano si è di molto adeguato a quelle che sono le norme dettate dalla comunità europea. 

Riguardo a questo argomento, gli stranieri vediamo che rappresentano il 32,8% e e le donne detenute una piccola parte, il 4%, ma vedete che le straniere sono un'aliquota quasi del 50%, secondo il grafico che vedete sottostante, e l'andamento delle presenze nel corso degli anni dal 1991 vedete c'è stato un netto incremento con una piccola depressione per via dell'indulto del 2006 e un'immediata ripresa delle presenze attualmente in lieve flessione di diminuzione. Questa è la fotografia del Sistema Penitenziario Italiano, ma ora illustriamo agli ingressi.

Nel corso dell’anno 2014 sono entrate in carcere 50.217 persone italiane, il 54,7%, ma per quanto riguarda gli stranieri il 45,3%, di cui un’aliquota di sesso femminile sostanzialmente pari tra le italiane e le straniere. Nel corso dello stesso anno, tra quelli che erano già presenti a fine 2013, arrivando a contare circa 100.000 persone, quanto sostanzialmente una piccola città di provincia. Il quantitativo di detenuti in Italia è dunque questo appena enumerato, ma per molti di loro il tempo di permanente è estremamente ridotto. Nel corso del 2013, 8.454 persone sono state rinchiuse all’interno delle mura penitenziarie soltanto per meno di 3 giorni.

Ragionando sui costi, ognuna di queste persone in custodia per il tempo sopracitato ha un costo di circa 100€ al giorno. Viene da sé che per tutti questi casi che si sono presentati, le spese hanno raggiunto oltre i 7 milioni e mezzo di euro, risorse che probabilmente potevano essere allocata in altro modo. Sappiamo che al Ministero della Giustizia, presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, si sta studiando questa problematica per cercare di ridurre il più possibile questi sprechi.  

 

Questo testo è estratto dal nostro video-corso Fad ECM Migrazione:Sanitario Italiano e Paziente Straniero, ha come scopo quello di informare e permette di approfondire tematiche legate al corso.

Estratto della lezione del dott.: Sergio Babudieri

Sergio Babudieri
Presidente SIMSPe
SIMSPe
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